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Archive for the ‘Pensieri e parole’ Category

Oggi sii riconoscente

Dopo alcuni anni, ho deciso di riprendere a scrivere sul mio Blog, che avevo abbandonato…ma non del tutto.

Tendiamo sempre a vedere la nostra vita e quella degli altri da una prospettiva molto ristretta, senza sforzarci di conoscere le cose nel loro insieme, senza aver fiducia nel presente, senza apprezzare quello che ci dà.

Storiella.

In un piccolo villaggio di campagna viveva un vecchio che era proprietario di un bellissimo cavallo. Nonostante fosse molto povero, rifiutava sempre le offerte di chi voleva comprarlo perchè ormai era diventato come un amico. Gli abitanti del villaggio lo consideravano un eccentrico e uno stupido perchè avrebbe potuto porre fine alla sua povertà vendendo il cavallo.

Un giorno la stalla fu trovata vuota.

Gli abitanti del villaggio erano convinti che il cavallo fosse stato rubato e concordarono sul fatto che per il vecchi sarebbe stato meglio venderlo.

Ma egli ribadì che l’unico fatto accertabile era che il cavallo non stava più nella stalla ed invitò la gente del villaggio a non esprimere giudizi su quella situazione.

Trascorso un po di tempo, il cavallo fece ritorno portando con se una dozzina di cavalli selvaggi. Allora gli abitanti del villaggio dissero che il vecchio era stato molto fortunato ma ancora una volta egli disse di guardare i fatti e di non giudicare un piccolo frammento della realtà senza conoscerla tutta.

L’unico figlio del vecchio iniziò subito a domare i cavalli, un giorno però cadde e si ruppe una gamba. Ancora una volta gli abitanti del villaggio pensarono che questa fosse una grande calamità, dal momento che egli rappresentava l’unico aiuto per il padre.

Ma il vecchio ancora una volta non era d’accordo con quanto la gente andava dicendo.

Presto scoppiò una guerra contro lo stato confinante e tutti i giovani del villaggio furono chiamati alle armi, ad eccezzione del figlio zoppo del vecchio.

[…] la storia continua all’infinito.

 

Categorie:Pensieri e parole

Buonanotte Madiba

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Mi ricordo che parlammo di Mandela, sotto l’ombra di un grande baobab, era il 2008, eravamo in Botswana e arrivavamo da Johannesburg. Parlammo dei 27 anni di prigionia a Robben Island terminati solo nel 1990, del Premio Nobel per la Pace, della sua forza, del suo rispetto per gli avversari e della sua risata coinvolgente. Nelson Mandela raccontava spesso una storiella “Quando morirò, mi presenterò alle porte del Paradiso e l’Angelo mi chiederà “Scusi ma lei chi è?”. Io risponderò utilizzando il mio nome tribale “Madiba”. “E da dove viene?” e io “Dal Sudafrica”. “Ah, lei è quel Madiba. Credo che debba accomodarsi ai Cancelli infuocati, la sotto!”. E di solito scoppiava in una ristata.

Nessuno è sulla terra per caso, grazie per avermi insegnato che “non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra”.

Buonanotte Madiba, riposa in pace.

IL FOTOGRAFO ; colpito e fotografato

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Navigo frequentemente sul web, per lavoro. A volte, trascinato dalla curiosità parto da un punto conosciuto e arrivo dove non avrei mai immaginato. In uno di questi “viaggi” ho trovato una fotografia e mi sono fermato. La storia è questa: Nel Giugno 2011, Gabriele Micalizzi, fotografo italiano del collettivo CESURA, inviato ad Atene dal NEW YORK TIMES, viene ferito da un poliziotto mentre sta documentando gli scontri nella capitale greca. Una manganellata sferrata da un poliziotto gli provoca un taglio in testa, nessuno soccorre Gabriele tranne un giornalista greco che lo porta in ospedale dove viene soccorso e curato con 8 punti di sutura. Il fotografo e il giornalista ritornano insieme sulla piazza e, alcuni giorni dopo, la rivista greca BHMagazino pubblica uno speciale sui reporter che hanno documentato gli scontri. Nelle fotografie si vede un poliziotto colpire con un manganello un ragazzo. Nessuno, ovviamente, identifica il poliziotto ma, su numerosi blog, ci si chiede chi possa essere il ragazzo colpito. Atene viene letteralmente tappezzata da manifesti che mostrano come la polizia è intervenuta e il fotografo diventa il soggetto di quello che sta documentando. La fotografia ritrae il momento in cui Gabriele viene colpito.

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Mandalay, 22 novembre 2012

Ci siamo spostati nel nord del paese passando per Bagan, una pianura con oltre duemila pagode. Il tramonto è stato interessante ma l’alba è stata superlativa. Sveglia alle 4:30, saliamo sulla terrazza di una pagoda e poco dopo la luce radente illumina i templi che si tingono di arancione in contrasto con il verde brillante della vegetazione. Nelle mie orecchie la musica di Sade contribuisce a rendere tutto ancora più surreale. Purtroppo le difficoltose connessioni ad internet non mi permettono di postare in modo costante il resoconto del viaggio me sto registrando tutto e mi riprometto di farlo al mio ritorno in Italia.

Kayaikhtiyo, 17 novembre

La salita alla roccia d’oro, con tutti i bagagli e gli zaini fotografici, è stata possibile grazie ai portantini. Domani ci aspetta l’alba, speriamo che la luce sia buona.

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Yangoon, 16 novembre 2012

Bellissima città, molto interessante la zona portuale. In fermento per l’arrivo di Obama previsto nei prossimi giorni.

Singapore, 15 novembre 2012

15 novembre 2012 2 commenti

20121115-084827.jpgIeri, tutto il giorno passato in volo. Questa mattina, colazione a base di noodles brasati e verdure cinesi. Aeroporto tecnologico di Singapore, negozi ovunque, prezzi europei. Sei ore di attesa e poi altre tre di volo per arrivare a Yangoon.

Italia, 13 novembre 2012

13 novembre 2012 2 commenti

Il viaggio inizia domani. Oggi, come per tutti i miei viaggi, è il giorno in cui preparo la valigia e la borsa fotografica. Ho sempre la sensazione di dimenticare qualcosa. La sera prima di partire, i bimbi mi fanno mille domande e, sulla mappa ripercorriamo insieme l’itinerario. Leila, come sempre mi dice di stare attento. Anche questa volta cercherò di fare del mio meglio. La prima tappa, domani, sarà Singapore, 12 ore consecutive di volo e poi Yangoon.

Travel to understand

18 ottobre 2012 2 commenti

Per concludere questo intenso anno, ho deciso di intraprendere un progetto personale, un viaggio di 41 giorni dal 14 novembre al 24 dicembre nella penisola indocinese attraverso Birmania, Cambogia e Laos. Non sarà solo un trasferimento da un luogo ad un altro, o scattare solo fotografie, sarà un lento ma inesorabile lasciarsi trasportare dalle situazioni e cercare di capire. Non so cosa ne verrà fuori ma, documenterò sul mio sito, giorno per giorno, quello che avrò modo di vedere. Se volete seguirmi in questa avventura e farmi sapere cosa ne pensate, scrivetelo sul blog, sarà un modo per sostenermi. Ne avrò bisogno.

Josef Koudelka

29 ottobre 2011 2 commenti

Riporto integralmente un articolo di Enrico Regazzoni apparso su Repubblica il 24 Settembre 1999. L’ho ritrovato, grazie ad una ricerca sugli zingari ispirata dall’incontro di ieri sera con Vittorio Scheni.

24 settembre 1999 —   pagina 43   sezione: CULTURA

“Non sono un intellettuale. Quando una cosa attira la mia attenzione, istintivamente la fotografo. Faccio foto anche senza macchina, semplicemente con lo sguardo. La scoperta della fotografia mi ha aiutato a utilizzare i miei occhi più di prima”. Appollaiato in cima a una scala, al centro di una sala del Palazzo delle Esposizioni, in Roma, Josef Koudelka controlla l’ ordine delle fotografie disposte sul pavimento, prima che vengano appese per la mostra. Si intitola Caos, la mostra, e apre i battenti domani. Per due mesi sarà dunque possibile aggirarsi fra immagini severe che testimoniano della manomissione operata dall’ uomo nei luoghi della sua storia recente, così come la leggono gli occhi di un grande fotografo, cecoslovacco di origine e apolide per vocazione, che da trent’ anni è in viaggio per le periferie d’ Europa, che vive di poco e parla ancora meno, e che pertanto lascia volentieri ciò che incontra e malvolentieri rilascia interviste. Berlino, Beirut, Vukovar, Mostar. Fermato in sessanta scatti panoramici, il Caos di Koudelka nasce dagli scenari più duri della conflittualità umana. Ci sono tracce di guerra, di desolazione, di corruzione del paesaggio che ha ceduto il posto ai profili industriali. Ma l’ uomo, non a caso, è quasi sempre assente. “Caos è il futuro, ma dice anche che la gente è scomparsa”, spiega Koudelka. E l’ ambizione di queste foto, esatte come i disegni di una paurosa architettura, non è solo quella di documentare l’ autolesionismo, il disprezzo per luoghi che potrebbero accoglierci anziché respingerci, ma anche quella di raccogliere indizi fino a tracciare un percorso dello sguardo. In questo senso, Caos è un’ occasione esauriente. Curata da Robert Delpire e organizzata dal Palazzo delle Esposizioni in collaborazione con Contrasto (catalogo Federico Motta Editore), la mostra offre una generosa selezione di tutto il lavoro di Koudelka, le tappe del viaggio che lo ha condotto ai confini del deserto. E non è facile, per il visitatore, separare lo spavento dell’ approdo dal fascino della deriva che ha guidato il fotografo fin qui. “Io parto sempre, mi allontano sempre. Tutti i luoghi sono lo stesso luogo, e sempre, quando arrivo, voglio partire. Parto, dunque, non appena mi accorgo che non c’ è più nulla da fotografare e non sono più capace di vedere altro”, dice lui, che per una volta ha accettato di spiegarsi anche a parole, ma lo fa con la cautela di chi ritiene che la precisione si affidi al poco, non al molto. Biondo nei capelli, più bianco nella barba, questo ragazzo di sessantuno anni è quasi una leggenda per quanti credono nel destino d’ arte della fotografia. E non soltanto per le sue indimenticabili immagini dell’ invasione dei carri armati a Praga, nel 1968 (foto che passarono la frontiera di nascosto e furono distribuite dall’ agenzia Magnum – della quale fa parte dal 1974 – alle principali riviste del mondo fino a vincere il premio Robert Capa), né per i bellissimi ritratti degli zingari nella loro vita (che, pubblicati in volume nel 1975, gli valsero il Premio Nadar), e neppure, infine, per le foto di Exils, libro apparso nel 1988, che frugano nelle zone d’ ombra del viaggio aperto al caso. Meglio: il nome di Koudelka scintilla nel suo mondo per tutto questo, ma anche e soprattutto per una sorta di purezza legata al personaggio, al viandante che rinuncia alla malinconia per continuare a capire ciò che incontra, all’ esule che non si sente profugo poiché già sente negli occhi la fortuna. Era ingegnere aeronautico, Koudelka. E come tale lavorò fino alle soglie dei trent’ anni, fra Praga e Bratislava. Aveva la passione per la fotografia, una vecchia Rolleiflex e un presagio (“Dopo sette anni avevo capito tutto dell’ ingegneria, il mio lavoro era finito”, rivela. “Oggi, dopo quarant’ anni, sento che il mio lavoro di fotografo non è finito affatto”). Lasciò dunque quel lavoro, nel 1967, e prese a seguire gli zingari in Romania. Perché gli zingari? “Per la musica. Suonavo il violino e la cornamusa, le mie radici sono nel luogo in cui sento le mie canzoni. Quindi nella Moravia del sud, un po’ più a sud di dove sono nato. Non mi sentivo simile agli zingari, ho solo seguito la loro musica”. Poi Praga viene invasa dalle truppe del Patto di Varsavia, e lui è lì, per la strada, con la sua macchina fotografica. Nel 1970 lascia la Cecoslovacchia e diventa apolide, ottiene asilo in Inghilterra ma continua a viaggiare. In Spagna, in Portogallo, in Irlanda. “Avevo perduto la musica ceca, la cercai in Spagna. Il mondo che spariva, io lo seguivo”. Dove “seguire” sta per le suole consumate, una coperta distesa sull’ erba per la notte, un pasto apparecchiato su un foglio di giornale. Seguire con rigore, insomma. Adattandosi al passo del mondo che si insegue. Spogli di tutto, come se si fosse a propria volta inseguiti. “Ancora oggi, superati i sessanta, il mio modo di viaggiare non è cambiato. Almeno sei settimane all’ anno dormo all’ aperto. Sono stato fortunato: fatta eccezione per qualche problema alla schiena, la mia salute è ottima. Ma so che la mia vita è limitata, non potrò continuare a lungo così”. Ride Koudelka, ride di suo e ride perché sa quanto lontana sia la sua persona – così energica, positiva e quasi euforica – dall’ essere umano che chiunque potrebbe immaginare partendo dalle foto. Ma anche Kafka scoppiava in fragorose risate, leggendo ad alta voce i suoi racconti per i pochi amici che lo ascoltavano atterriti. E Thomas Bernhard occhieggiava divertito alle donne, nel sole delle Baleari, dopo aver spintonato i suoi lettori verso l’ abisso. “Una mia amica sostiene che io butto il nero alle mie spalle, quando lo incontro. E il nero torna fuori nelle foto. Del resto, Cechov credeva di aver scritto commedie, mentre la moglie lo accusava di aver scritto tragedie. La gente giudica da ciò che vede. Per sedici anni non mi fu possibile rivendicare la paternità delle mie foto dell’ invasione di Praga. Avevo una famiglia là, non potevo rischiare. Così diventai per tutti il fotografo degli zingari. Ma non esiste per me un solo tema. Una persona che ha occhi e sensibilità guarda tutto. Ho sempre cercato la struttura, le persone e i luoghi. Le mie foto di teatro sono fatte come quelle degli zingari. La sola differenza, è che con gli zingari non c’ era un regista”. Il teatro, con esiti semplicemente sorprendenti, era stato il primo passo del suo viaggio per immagini. Ma adesso, quale sarà il prossimo, se Caos, come sembra, è l’ ultima destinazione possibile? Koudelka ammette che ci sono due buone ragioni per le quali un fotografo può ritenere concluso il suo lavoro. “Una è la sensazione di aver detto tutto, l’ altra è che il mondo che ti interessa sta per finire. Il mio interesse è più vivo che mai, ma il mio mondo è tramontato. Comunque, ho un enorme archivio. Se non potrò viaggiare, viaggerò nel mio archivio”. E’ un paradosso, lui ripartirà. Per questo, per poter sempre ricominciare, si è tenuto vicino allo zero. Ha due piccolissime case in affitto (a Parigi e Praga), due nazionalità (francese e ceca), un gusto minimale dell’ esistenza esibito con preciso orgoglio. “E’ straordinario”, gli disse un giorno un amico, “che ci sia in giro un tipo come te. Uno che non ha nulla. E che non ci sia nessuno che abbia i soldi per comprarglielo”.